Yuko - Long Sleeves Cause Accidents (Unday Records, 7 Marzo 2015)







di Sisco Montalto - Degli Yuko si sa poco e niente, anche sul web si fatica a trovare qualche informazione sulla band, e di questi tempi, dove tutto viaggia su internet, suona un po' strana come situazione. In realtà la band belga è arrivata al terzo album in studio ed ha un curriculum live abbastanza importante, in giro per l'Europa.

Questa ambivalenza e in qualche modo contraddizione tra mondo reale e virtuale, colpisce, perchè se è vero che la visibilità e il successo, almeno in termini di popolarità, ormai passa dalla presenza costante nel mondo virtuale, con le miriadi di webzine che trattano di musica e che spesso rendono estremamente sopravvalutati progetti che non hanno nulla di che (e in Italia ne sappiamo qualcosa), la bravura è tutt'altra cosa e si misura in maniera diversa, sudando non poco. Per questi motivi gli Yuko hanno tutta la mia stima. 

Andando poi nello specifico e ascoltando i due album passati e l'ultimo Long Sleeves Cause Accidents, la stima cresce ancora.
Gli Yuko ad un primo ascolto sembrano i soliti indie di tendenza, con quell'attitudine al dream pop tipica di certi posti del nord Europa, e personalmente ho subito pensato ai Girls in Hawaii, preparandomi al solito sound alla lunga noioso. Invece la band belga mi ha sorpreso non poco. Fin dal primo pezzo Dive! e a seguire per tutte le altre tracce del disco. 

La band belga mette propone un sound accattivante che lascia trasparire l'amore viscerale per i Radiohead ma che di questo amore loro hanno fatto solo un punto di partenza per poi sfogare tutta la propria creatività in un percorso che, brano dopo brano, diventa coinvolgente e alla fine lascia la voglia di riascoltare il disco.

Long Sleeves Cause Accidents, ha una propria personalità evidente, costruita attraverso la fusione di varie influenze e stili. Ne esce fuori un bel disco dalle sfumature plumbee, dilatate, con attimi di preziosa raffinatezza mai stucchevoli, misti a rabbiosità moderata e controllata, in un miscuglio di sacro e profano, che alla fine è la caratteristica preponderante, singolare e curiosa, della band di Kristof Deneijs.




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